la società dei devianti

martedì 14 ottobre 2014

non ho bisogno di stare tranquillo


Non ho bisogno di stare tranquillo.

Errico Malatesta

La fabbrica della cura mentale

Mario Bonanno - Sololibri

Avete presente quei pamphlet di estrazione antipsichiatrica che a un certo punto andavano di moda negli anni Settanta? Beh, scordateveli, perché “La fabbrica della cura mentale. Diario di uno psichiatra riluttante” (Elèuthera, 2013) è tutto fuorché un manifesto ideologico anti-qualcosa, piuttosto un saggio “narrativo” sulla scorta del pensiero vetero-basagliano, una specie di auto-fiction di taglio esistenziale, satura com’è di riflessioni, di umanità ferita, di rimandi filosofici, ma anche di humour, malinconia e un tantinello – va beh – di spirito di denuncia e mal de vivre, che per chi deve vedersela ogni giorno con le derive della malattia mentale può leggersi come burnout, tra i rischi del mestiere di psichiatra.
Piero Cipriano è psichiatra dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi, se mi spiego. Ciò non toglie che nella descrizione degli SPDC (i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura che dalla Legge 180 in poi hanno sostituito i manicomi) a tratti ci vada duro, ma senza inventare nulla, perché un ricovero in SPDC non è minimamente paragonabile a un soggiorno in un resort cinque stelle, non trovate? L’ottimo Cipriano (la sua scrittura - specie nei suoi tratti più narrativi - letteralmente "zampilla") annota senza sottacere nulla delle ombre che gravano sulle strutture ospedaliere per pazienti psichiatrici (le uniche strutture ospedaliere a porte chiuse) e tuttavia - l’ho scritto prima – questo è tutt’altro che un testo rancoroso e non è nemmeno livido, e neanche apocalittico, della serie declino e morte della psichiatria al tempo degli SPDC: sulla scorta dirompente delle idee di Basaglia, ciò che propone tra le righe Piero Cipriano è un ritorno alla centralità del sofferente psichico (mica la malattia ne annulla lo statuto di essere umano, no?), di pari passo a un approccio più “umile” alla professione medica, soprattutto in un ambito, sotto molti aspetti aleatorio, com’è l’ambito della medicina psichiatrica (aldilà della nosografia, davvero qualcuno può dire di sapere con certezza in cosa “consista” la schizofrenia? qual è il suo senso recondito?).
In altre parole, "La fabbrica della salute mentale" è un libro meticcio di toni e di generi, che non le manda certo a dire sulla pratica diffusa della contenzione fisica, su quella delle scorciatoie farmacologiche, sul disincanto o sull’indifferenza di molti operatori, e però senza malagrazia, piuttosto con sgomento, rivoluzionaria saggezza diogeniana (il filosofo con la lanterna che "cercava l’uomo"). Un libro di teoria e prassi etnopsichiatrica in forma di quasi-romanzo, che si appiglia a Cioran e a De Andrè, richiama il mito di Sisifo in accezione camusiana, Michel Onfray della destrutturazione delle tesi freudiane, si mette e rimette in discussione, morde, fugge, accarezza, fa sorridere e indignare, passando dall’autobiografia al corollario toccante di storie minime in transito o precipitate per sempre nel giogo senza fondo del "circuito" psichiatrico. Una lettura tesa, diretta, agevole, per tutti, anche sul piano della forma tra le migliori sull’argomento che mi sia capitato di leggere.

I manicomi non ci sono più ma i matti sono sempre da legare

Giuseppe Ceretti - Il Sole 24 Ore

Hai voglia di dire che i manicomi non ci sono più, il povero Basaglia si sarà rivoltato un milione di volte nella tomba. Parola di uno psichiatra riluttante, al secolo Piero Cipriano, che ha lavorato in vari dipartimenti di salute mentale e da alcuni anni lavora in una SPDC di Roma. Quattro lettere che stanno per Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, reparti collocati nell'ospedale generale. Qui sono ricoverati gli affetti da mal mentale dopo che nel 1978 la legge 180 ha abolito i manicomi.
Cipriano per età (è nato nel 1968) non ha conosciuto quei campi di concentramento del malato mentale che erano i manicomi, ma conosce assai bene, per lavorarci giorno e notte, gli SPDC : "Mi ricordano una fabbrica" dice e lì per lì pare un grande cambiamento e in positivo. E certo lo è, almeno in apparenza-Ma Cipriano non a caso è riluttante, ovvero, come ci dice il vocabolario, "uno scarsamente disposto a cedere, concedere, acconsentire". 
Piuttosto la sua esperienza lo convince che in quei luoghi sta rinascendo, sotto altre forme, una rinnovata cultura manicomiale. Il malato è una macchina biologica rotta che va aggiustata non con le parole, ma con il farmaco e se il farmaco non basta ci sono le fasce o le terapie elettriche. E le cure tranquille? Nel silenzio costoso di studi privati.
Una convinzione che è maturata dall'esperienza sul campo e si è tradotta in questo diario di reparto dentro "la fabbrica della cura mentale". Cipriano, lo si avverte sin dalle prime righe, è uomo dalla notevole temperatura interiore. A dispetto della conclamata volontà di darsi a più proficue peregrinazioni nel mondo, nel suo lavoro ci mette passione, competenza e sdegno, anche dietro gli apparenti segni di cinismo: "Che ci faccio qui?".

L'incipit del diario ha l'effetto di un pugno nello stomaco ("prendila tienila legala" è l'eloquente titolo di una notte da incubo) seguito dal perfido resoconto del riluttante io narrante alle prese con i colleghi: il sarcastico, la fredda, la disillusa, la suorina, il fatalista, una galleria di personaggi che girano per i reparti in coda al grande timoniere: "Giro finito. Fino al giorno dopo i pazienti ingoieranno pasticche, cibo, nicotina e televisione".
Piero Cipriano ci avverte che in questa fabbrica il dogma della reclusione della follia, con il conseguente abuso dei farmaci, è alimentato dagli interessi di multinazionali che hanno creato schiere di sostenitori pronti a dimostrare ch in Italia i manicomi non sono stati chiusi "grazie ai neurolettici tipici e ora atipici che avrebbero reso più docili i malati". I farmaci, dice Cipriano, spesso "servono a sedare più che il malato l'ansia dello psichiatra".
C'è poi la questione che più d'ogni altra "fa venire il sangue amaro" all'autore: mai nei libri di psichiatria si parla di legare la gente, mai se ne parla, negli anni di specializzazione: "Ma allora - si chiede - perché è una pratica tanto diffusa, che coinvolge l'80% degli SPDC d'Italia? E' una questione di etica e di cultura: altro che reclamare più operatori, occorre cambiar loro la testa".
La testa di Cipriano è ostinata, cocciuta, piena di sogni ma bastano le poche righe del capitolo di una notte al pronto soccorso per capire di che pasta sono fatti questi sogni. Forse il meglio di questa testimonianza è in ciò che non vi abbiamo anticipato, nelle tracce di romanzo, di saggio, di reportage, di manuale di sopravvivenza.
Non a caso Cipriano chiede aiuto alle parole di Goethe: "Ciò che qui ho narrato è realmente accaduto, ma niente è accaduto come qui ho narrato".

LA SOLITUDINE DEI MODERNI MANICOMI



Marco Neirotti - La Stampa

“Stavolta ti tengo legata al letto un mese”.  “Qui nessuno vuole farle male, voglio solo capire come mai l’hanno portata in ospedale”. Due atteggiamenti si scontrano di fronte all’enigma della malattia mentale: quello dell’arcana paura e cieca reazione e quello del pacato comprendere. Era così prima di Franco Basaglia, è così dopo una rivoluzione radicale nel bene e nelle radicalizzazione di comodo, tradita dalla fretta sommaria della superficialità politica.
Fasce di contenzione e dialogo, colate di psicofarmaci e terapia della parola si spintonano nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, i “repartini” ospedalieri, solitari avamposti della lotta alla follia, dove si affrontano le fasi acute dei disturbi, talora violente. Tra episodi della propria quotidianità e analisi degli studi sulla mente, sul sistema nervoso, sui farmaci, percorre i repartini Piero Cipriano in La fabbrica della cura mentale (Elèuthera edizioni), “diario di uno psichiatra riluttante”.
Troppo giovane per aver direttamente incontrato Basaglia ma non poer averne assimilato gli ideali di restituzione della dignità del malato, Cipriano attraversa come stanze di un castello kafkiano i manicomietti-lampo dove spesso – a fronte di esempi di abnegazione ed efficienza – sembra si sia abdicato al principio fondamentale – la sintonia con il sofferente – e ci si ritrovi, talora proprio malgrado, in un dispensario di sedativi e anttipsicotici, recuperando e rispolverando dalle antiche strutture cinghie per irriducibili e trasferimenti in case di cura dotate di apparecchi per l’elettroshock, quando si ritengano vani gli altri strumenti.
L’amarezza di queste pagine nasce dal constatare che se prima si finiva anche per una sciocchezza in lager perenni, oggi si transita in linee di montaggio dove in pochi giorni si coprono le falle più evidenti e si restituiscono al mondo, confidando nei Servizi di salute mentale del territorio, anime soltanto in superficie placate, lasciando inalterata, salvo realtà felici, la solitudine di malati, parenti, operatori stessi.